Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana: composizione e funzioni

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Si sente sempre parlare del consiglio dei ministri, delle sue elezioni, delle sue riunioni, ma non tutti sanno da chi è composto e quali funzioni svolge. Il consiglio dei ministri della repubblica italiana è l’organo collegiale che riunisce tutti i ministri (con e senza portafoglio) sotto la direzione del presidente del consiglio (attualmente Paolo Gentiloni) e svolge funzioni relative al potere esecutivo. Vediamo con ordine quali sono la composizione e le funzioni del consiglio dei ministri della repubblica italiana.

Cos’è il consiglio dei ministri?

ll consiglio dei ministri della repubblica italiana è uno degli organi che compongono il governo e, precisamente, l’organo collegiale che riunisce i ministri sotto la presidenza del capo di governo [1]. Esso è, naturalmente, presieduto dal presidente del consiglio ed è composto da tutti i ministri con e senza portafoglio. Ad eccezione del sottosegretario alla presidenza del consiglio (che esercita le funzioni di segretario del collegio), nessun altro sottosegretario di stato ha titolo per partecipare alle sedute del consiglio.

Il consiglio dei ministri è convocato dal presidente che decide anche l’ordine del giorno: la verbalizzazione delle riunioni è curata dal sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio il quale è tenuto anche a curare la conservazione del registro delle deliberazioni.

In caso di assenza o impedimento temporaneo del presidente, le riunioni del consiglio dei ministri sono presiedute dal vicepresidente e, qualora vi siano più vicepresidenti, dal più anziano secondo l’età. Poiché il vicepresidente è una figura eventuale nella composizione del governo, se non è stato nominato, le sue funzioni sono svolte dal ministro più anziano per età (vi è un apposito regolamento che disciplina sia la partecipazione alle riunioni del consiglio sia le modalità di convocazione dello stesso) [2].

Che funzione ha il consiglio dei ministri?

Il nostro ordinamento non riconosce all’organo di vertice del governo un ruolo preminente rispetto a quello degli altri ministri, riservando quindi all’intero consiglio dei ministri (inteso come organo collegiale) le funzioni più rilevanti del potere esecutivo. Spettano, infatti, a quest’ultimo:

  • le deliberazioni sui disegni di legge di iniziativa governativa [3];
  • l’adozione degli atti aventi forza di legge(ovvero decreto legge e decreto legislativo) e dei regolamenti governativi [4];
  • la decisione di impugnare gli statuti regionali [5];
  • l’azione o la resistenza in giudizio nei conflitti di attribuzione e nel giudizio in via principale di fronte alla corte costituzionale;
  • la risoluzione dei conflitti tra i singoli ministri;
  • la nomina dei più alti funzionari dell’apparato civile e militare (quali prefetti, ambasciatori, capi di stato maggiore ecc.).

Ciò significa che l’Italia ha voluto affidare le decisioni più importanti (e le funzioni più delicate) non al singolo ma ad un collegio che fosse maggiormente rappresentativo della collettività e che garantisse l’adozione di decisioni maggiormente imparziali.

Il consiglio dei ministri determina la politica generale del governo e, ai fini della sua attuazione, l’indirizzo generale dell’azione amministrativa [6]; esso delibera, inoltre, su ogni altra questione relativa all’indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere.

note

[1] Art. 92 Cost.

[2] regolamento adottato con decreto del presidente del consiglio il 10.11.1993, previa deliberazione del  consiglio stesso.

[3] Art. 71 Cost.

[4] Artt. 76 e 77 Cost.

[5] Art. 123 Cost.

[6] Art.2 L. n.400 del 1988.

Qual è l’orario minimo part time?

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La legge non stabilisce un numero minimo di ore per il contratto di lavoro subordinato a tempo parziale: a questo “vuoto normativo” suppliscono, però, i contratti collettivi, che prevedono dei tetti orari minimi per il dipendente part time. Bisogna però osservare che ci sono dei contratti collettivi nazionali che non prevedono un monte ore minimo per il tempo parziale:

  • il ccnl intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo di Cifa e Confsal;
  • il ccnl alimentare e panificazione;
  • il ccnl acconciatura-estetica- centri benessere;
  • il ccnl artigiani e pmi.

Mancando una disciplina del lavoro a tempo parziale che consente l’assenza di un orario minimo, è possibile assumere un dipendente anche per farlo lavorare soltanto un giorno alla settimana, oppure soltanto per alcune settimane nel mese, o, ancora, per alcuni mesi nell’anno.

Tuttavia, bisogna prestare particolare attenzione: l’assenza di un orario minimo non consente la stessa flessibilità che invece consente il nuovo contratto di prestazione occasionale (nuovi voucher) o il lavoro a chiamata. Vediamo perché.

Orario minimo ma predeterminato

Nonostante i contratti collettivi elencati non prevedano un monte ore minimo per il tempo parziale, questo non significa che il datore di lavoro possa chiamare il dipendente quando vuole: l’orario part time, difatti, per quanto esiguo deve essere organizzato e deve esserci una continuità nello svolgimento della prestazione di lavoro.

Se, ad esempio, il lavoratore presta la propria attività per poche ore tutti i sabati, sicuramente la continuità dell’attività sussiste, per quanto l’orario sia ridotto; lo stesso vale nel caso in cui il dipendente lavori per una settimana al mese, o per pochi mesi all’anno.

I contratti di lavoro a tempo parziale che non dispongono un orario minimo, quindi, devono comunque indicare con precisione la collocazione delle ore di lavoro: l’accordo collettivo, in particolare, prevede che nel contratto di lavoro part time sia contenuta una puntuale indicazione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.

Variazione dell’orario di lavoro

Il datore di lavoro non può utilizzare il contratto part time “minimo” senza indicare l’orario di lavoro: non può quindi decidere di chiamare il lavoratore a sua discrezione, perché il dipendente deve conoscere in anticipo il suo orario. Pertanto, se il datore di lavoro non è in grado di stabilire quando potrebbe aver bisogno del dipendente, il contratto a tempo parziale senza il tetto orario minimo non è adatto, ma dovrà utilizzare il lavoro a chiamata (ricordando che il lavoratore non può avere più di 24 anni o meno di 55 anni), oppure il nuovo contratto di prestazione occasionale.

È comunque possibile ottenere un minimo di flessibilità, aumentando le ore di lavoro inizialmente previste da contratto, con l’inserimento di apposite clausole elastiche: le clausole elastiche, nel dettaglio, possono consentire sia l’aumento dell’orario di lavoro che la sua variazione. Queste clausole devono però essere previste in un’apposita pattuizione scritta, anche contestuale al contratto di lavoro.

Clausole elastiche e lavoro supplementare

Se le clausole elastiche comportano un aumento dell’orario di lavoro stabilito nel contratto comportano, secondo la maggior parte dei contratti collettivi, una maggiorazione della paga oraria.

Il contratto collettivo intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo [1], ad esempio, prevede una maggiorazione del 15%. La maggiorazione non è dovuta se la modifica è definitiva e accettata dal lavoratore, o se richiesta da lui stesso. Il contratto collettivo prevede inoltre l’obbligo di preavviso di almeno 2 giorni lavorativi e che il lavoro supplementare non ecceda il limite del 25% della normale prestazioneannua part time.

Se gli accordi collettivi non prevedono nulla, si deve applicare una maggiorazione pari al 15%, secondo quanto stabilisce il testo unico sui contratti [2].

note

[1] Art. 156 Ccnl intersettoriale commercio, terziario, servizi, pubblici esercizi e turismo  Cifa e Confsal.

[2] D.lgs. 81/2015.

Halloween

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Festa macabra celebrata nella notte fra il 31 di ottobre e il primo di novembre

contrazione scozzese settecentesca dell’inglese [Allhallow’s-even], ‘Vigilia di Ognissanti’.

Di anno in anno questo nome, con la festa che descrive, anche dalle nostre parti si afferma con forza sempre maggiore. Sappiamo tutti sfatarla affermando che il suo volano è stato economico, anzi consumistico, ma in Halloween c’è qualcosa di estremamente curioso.

Gli antropologi mi perdoneranno l’essenzialità della trattazione: si sente dire comunemente che si tratta di un’antica festa celtica (Samhain), una festa di capodanno che segnava la fine dei raccolti e l’inizio della stagione fredda, periodo in cui è importante stringersi e affermare la comunità. Si svolgeva fra il 31 ottobre e il 1° novembre, in quello che si credeva un interregno fra i due anni, momento in cui il mondo dei vivi e quello dei morti si toccavano. E i nostri avi romani, che dinanzi a feste e divinità straniere non facevano mai una piega, vi riconobbero i meccanismi di certe liturgie che loro celebravano durante i Lemuria o i Parentalia: tutte feste in cui gli spiriti dei morti venivano esorcizzati, celebrati, placati.

Nel 609 papa Bonifacio IV isituì la festa di Ognissanti, da celebrare il 13 maggio (data in cui venivano festeggiati i Lemuria romani); il secolo successivo papa Gregorio III la spostò però al 1°novembre, così da installarla sul Samhain celtico. E questa è una tattica ricorrente: la festa pagana viene esaugurata e coperta con una nuova festa riconsacrata alla religione cristiana. Ma con la Riforma luterana (di cui giusto in questi anni ricorre il cinquecentesimo anniversario, auguri Martin) la festa voluta dal papa smise d’esser celebrata nei territori protestanti. Svestiti i panni cristiani, tornò laica, tornò pagana – pur mantenendo un nome cristiano ed evolvendo carsicamente nei secoli fino all’Halloween che conosciamo oggi, coi suoi simboli macabri e le usanze grottesche.

Ma c’è una cosa in particolare che colpisce nell’emersione di una festa del genere dalle nostre parti e in questi tempi così progrediti. Vi rimane intatto uno dei meccanismi antropologici di base di tante feste che riguardano i morti e il contatto con gli spiriti: il gioco drammatico in cui gli spiriti che devono essere placati sono rappresentati dai bambini, più vicini alla nascita, morti ritornati che chiedono un’offerta per la loro benevolenza, per scongiurare la loro funesta rivalsa. Pare straniante, ma anche nel nostrissimo Natale c’è il profilo di un tributo del genere.

Insomma, è una celebrazione meno superficiale di quanto l’analisi economica e la diffidenza verso una festa straniera ci portano a pensare.

Assegno ordinario di invalidità e assegno di invalidità civile

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 Nell’approfondimento che segue ci soffermeremo su due forme assistenziali in grado di garantire alcuni fondamentali diritti dei cittadini  che spesso vertono in condizioni svantaggiate: Assegno mensile di invalidità civile e Assegno ordinario di invalidità.

Prima di esaminare tali fattispecie, offriremo brevi cenni introduttivi relativi all’art. 38 della nostra Costituzione che rappresenta, senza alcun dubbio, il principio ispiratore dell’argomento trattato.

  Cenni di introduzione

L’articolo 38 della Costituzione Italiana ha riconosciuto ad “ogni cittadino inabile e sprovvisto dei mezzi necessari” il “diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Una  garanzia che si spinge, nel secondo comma,  a stabilire nei confronti dei lavoratori il “diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

Con il primo comma viene evidenziato come lo Stato si fa carico in prima persona dell’assistenza sociale, cioè di quelle misure che servono a garantire un adeguato tenore di vita anche a chi è titolare di un reddito inferiore ad una certa soglia e non può procurarsi altre entrate, ad esempio perché invalido di guerra o inabile al lavoro per malattia.

Queste misure si sostanziano, tra le altre, in corresponsione di pensioni di invalidità e guerra o in agevolazioni per la fruizione di servizi.

Il secondo comma, del suindicato articolo costituzionale, si occupa, invece,  della previdenza sociale che, a differenza dell’assistenza, concerne i soli lavoratori.

Essa si sostanzia in prestazioni economiche e sanitarie per tutelare il lavoratore, oltre che dai rischi lavorativi di infortuni, invalidità anche da eventi naturali quali la vecchiaia: si tratta quindi di una previdenza sociale obbligatoria, che grava in parte sullo Stato ed in parte sui datori di lavoro, salvo che i lavoratori scelgano di integrare queste misure con forme private di tutela.

Pertanto, lo scopo della previdenza sociale è teso a riconoscere o meglio consentire al soggetto una vita dignitosa.

Nel tempo si sono susseguite numerose disposizioni di legge volte a limitare o condizionare il diritto a queste forme di tutela e tali interventi sono stati ritenuti legittimi per la necessità di contemperare questo diritto con le risorse finanziarie disponibili.

Un’ ulteriore  considerazione risulta necessaria al fine di evidenziare come il principio che ispira l’art.38 della nostra Costi­tuzione non discrimini i soggetti in base alla loro na­zionalità o provenienza, ma, al contrario, comprenda nel concetto di “cittadino inabile” l’individuo presente sul territorio dello Stato senza distinzioni di razza o nazionalità, pur se in ogni caso in presenza di determinati requisiti.

Sul piano concreto tali forme di assistenza hanno as­sunto, nel corso degli anni e per effetto di normative che si sono via via adeguate alle circostanze, natura e agevolazioni sia di tipo economico che di tipo non economico. Alle prime fanno riferimento, per esem­pio, le prestazioni di invalidità civile e quelle di inabi­lità. Alle seconde appartengono tutte quelle agevo­lazioni di tipo fiscale o altre forme di sostegno come l’assistenza sanitaria, i permessi ex L. n.104/92, le quali, seppur non monetizzate per il cittadino, rap­presentano pur sempre un costo per lo Stato.

In particolare, tra le prestazioni di tipo economico figurano l’Asse­gno mensile di invalidità civile e l’Assegno ordinario di invalidità (AOI).

La sostanziale distinzione fra que­sti due tipi di assegno consiste nel fatto che il pri­mo è un assegno slegato dal requisito contributivo o assicurativo e concesso a fronte del solo requisito sanitario ai soggetti che si trovano in uno stato di bi­sogno e, pertanto, con redditi personali al di sotto di determinati limiti, mentre il secondo (AOI) è una prestazione che lega al requisito sanitario anche la sussistenza del requisito contributivo, con un’eviden­te e conseguente differenza di importo e di natura.

Assegno mensile di invalidità civile

L’Assegno mensile di invalidità civile è una prestazio­ne concessa a tutti i cittadini, sia italiani che stranieri, che non hanno o non possono far valere periodi con­tributivi o assicurativi sufficienti ad accedere ad altri tipi di prestazione.

L’art.13, co.1, L. n.118/71, e successive modifiche, ha stabilito che: “Agli invalidi civili di età compresa fra il diciot­tesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui con­fronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è conces­so, a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di euro 279,471 per tredici men­silità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’arti­colo 12″.

Si tratta, pertanto, di una prestazione di tipo assi­stenziale, non reversibile, concessa in presenza es­senzialmente di due requisiti ossia la parziale riduzione della capacità lavorativa e lo stato di bisogno economico rappresentato dal possesso di redditi assoggettabili all’Irpef inferio­ri a una determinata soglia stabilita annualmente per legge, il cui limite per il corrente anno 2016 è fissato in € 4.800,38.

Altri requisiti necessari per l’ottenimento della pre­stazione sono il requisito anagrafico, che da gennaio di quest’anno deve essere di età compresa fra i 18 e i 65 anni e sette mesi, oltre alla cittadinanza italiana.

Al compimento del 65° anno di età e sette mesi, l’As­segno di invalidità civile si trasforma in Assegno so­ciale. Possono accedere alla prestazione e alle stes­se condizioni economiche e sanitarie dei cittadini italiani anche i cittadini stranieri comunitari iscritti all’anagrafe del comune di residenza, ai sensi del D.L. n.30/07, e i cittadini extracomunitari legalmente sog­giornanti nel territorio dello Stato italiano, titolari del permesso di soggiorno di almeno un anno, anche se privi del permesso di soggiorno CE di lungo periodo.

Tuttavia, considerato che si tratta di una pre­stazione di tipo assistenziale non derivante da dirit­ti contributivi, risulta obbligatoria per tutti la residenza stabile e abituale sul territorio nazionale e l’assenza di svolgi­mento di attività lavorativa.

Ai fini dell’accertamento della condizione di as­senza di svolgimento di attività lavorativa, non è più necessaria l’iscrizione nelle liste speciali di collocamento, essendo sufficiente che l’interes­sato produca annualmente all’Inps una dichiarazione sostitutiva che attesti lo svolgimen­to o meno di prestazioni lavorative. Ciò è previsto dall’articolo 46 e se­guenti del testo unico di cui al decreto del Presi­dente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Qualora tale con­dizione venga meno, lo stesso è tenuto a darne tempestiva comunicazione all’INPS.

È equiparato al mancato svolgimento di attività la­vorativa anche l’impiego presso cooperative sociali ai sensi della L. n.68/99, successivamente modificata dall’art.1, co.37, L. n.247/07, che regola l’inserimen­to lavorativo temporaneo con finalità formative non­ché la trasformazione, ai sensi del D.L. n.276/03, del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale relativamente ai lavoratori affetti da patologie on­cologiche e, infine, anche lo svolgimento di attività lavorativa, purché produca un reddito non superiore alla soglia di reddito individuale annualmente stabi­lita dalla legge, menzionata prima.

Va specificato che il requisito sanitario deve essere accer­tato dall’apposita commissione medica istituita presso il Centro medico legale dell’Inps territorialmente  competente.

La concessione dell’Assegno mensile di invalidità civi­le si genera obbligatoriamente dal rilascio del certifi­cato medico introduttivo prodotto dal proprio medi­co di base. Una volta ottenuto questo, successivamente, va presentata la domanda esclusivamente on-line e, indipendentemente dal momento in cui il requisito sanitario viene accertato, la prestazione decorre dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda, posto che ovviamente siano soddi­sfatti anche i requisiti amministrativi.

Tuttavia, bisogna precisare che,  se nel corso dell’iter di concessione mutano le condizioni di salute, anche a fronte di un peggioramento, non è possibile presen­tare una nuova domanda finché non si sia comple­tato il corso della prima istanza. A tale vincolo non soggiace la domanda di aggravamento presentata da paziente oncologico.

Nel caso di impugnazione di eventuale diniego da­vanti al giudice ordinario, unica strada possibile di opposizione al mancato riconoscimento da esercita­re entro e non oltre sei mesi dalla comunicazione di reiezione della domanda, l’ipotetica nuova domanda deve attendere che si sia concluso l’iter giudiziario e la sentenza sia passata in giudicato.

Altro aspetto fondamentale sul quale risulta necessario o meglio doveroso soffermarsi riguarda l’incompatibilità dell’assegno mensile di invalidità civile con qualsiasi pensione diretta di invalidità erogata a carico dell’assicurazione generale obbligatoria (AGO) delle gestioni sosti­tutive, esonerative ed esclusive, delle gestioni dei lavoratori autonomi, e delle altre Casse e Fondi di previdenza, compresi quelli dei liberi professioni­sti. Tale incompatibilità si estende, ai sensi della L. 412/1991, anche a tutte le prestazioni pensio­nistiche di invalidità contratte per cause di guer­ra, di lavoro o di servizio e, pertanto, anche con le rendite Inail.

In questo caso il titolare di rendita Inail può esercitare la facoltà di opzione se l’Assegno è più conveniente, senza perderne il diritto, opzione che quindi può esse­re rivista in qualunque momento. L’onere della comu­nicazione all’Inps di eventuale incompatibilità spetta al titolare invalido, anche se tale circostanza si verifica successivamente alla concessione dell’assegno.

Assegno ordinario di invalidità

L’Assegno ordinario di invalidità (AOI), istituito con la L. n.222/84, si basa su presupposti totalmente diversi dall’assegno mensile di invalidità civile, essendo una pre­stazione legata al principio della riduzione della ca­pacità lavorativa superiore ai 2/3 e alla presenza di un certo numero di contributi previdenziali, almeno cinque anni nell’intero arco lavorativo, di cui almeno tre nei cinque anni che precedono la presentazione della domanda. Anche in questo caso si tratta di una prestazione non reversibile, e cioè non trasferibile ai familiari superstiti, sebbene nel caso di decesso del titolare sia possibile per loro richiedere una pensio­ne indiretta.

Quindi possiamo confermare che l’AOI è una prestazio­ne che si rivolge ai lavoratori dipendenti, ai lavo­ratori autonomi e ai lavoratori parasubordinati. Non è prevista, invece, per i dipendenti del pub­blico impiego, per i quali sono state istituite altre forme di assistenza.

Inoltre, a differenza dell’Assegno di invalidità civile, l’AOI non è legato al requisito dell’età, ma vincolato, come det­to, alla sussistenza del requisito sanitario e ammini­strativo.

Per una maggiore chiarezza sul punto si osserva che, un lavoratore che abbia diritto all’AOI dal 1° giugno 2016 deve aver maturato almeno cinque anni di contributi nell’intera sua car­riera lavorativa, di cui almeno tre nel periodo compreso fra il 1° giugno 2011 e il 1° giugno 2016.

Sul merito del requisito sanitario, va chiarito che il concetto della riduzione della capacità lavorati­va di almeno 2/3 non è sovrapponibile al più ge­nerico concetto di invalidità.

Da ciò deriva che le tabelle di riferimento per la valu­tazione medico legale dell’invalidità civile non sono utili ai fini della concessione dell’AOI, poiché è  ne­cessario che la Commissione medica preposta valuti la riduzione della capacità di lavoro del richiedente in relazione a occupazioni confacenti le attitudini specifiche dell’assicurato. Ne consegue che tale cri­terio è strettamente correlato alla particolare situazione dell’individuo e che il giudizio medico le­gale deve tenere presente, oltre alla condizione pu­ramente sanitaria, anche un complesso di elementi relativi alla personalità e alla storia del lavoratore, come sesso, età, livello raggiunto, adattabilità e, non ultimo, l’usura lavorativa in relazione alle attività possibili e non soltanto in relazione al lavoro effetti­vamente prestato.

Per quanto riguarda invece il requisito contributivo, dal calcolo dei periodi utili vanno esclusi i periodi di congedo parentale, il lavoro subordinato eventual­mente prestato all’estero, se non coperto da assicu­razioni in convenzioni internazionali, il servizio milita­re per il periodo eventualmente eccedente il servizio di leva, la malattia superiore ai dodici mesi e i periodi di iscrizione a forme obbligatorie di previdenza che non producano il diritto a pensione. In presenza di tali circostanze, i periodi interessati sono considerati neutri, con l’effetto di dilatare il quinquennio di rife­rimento per il periodo neutro corrispondente.

Come per l’assegno mensile di invalidità civile, anche per l’AOI la prestazione decorre, indipenden­temente dal momento in cui il requisito sanitario vie­ne accertato, dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda.

Va fatto notare che l’AOI ha carattere temporaneo e una durata inizialmente triennale, può essere confer­mato solo su domanda dell’interessato, da presentar­si entro sei mesi dalla scadenza naturale della presta­zione e dopo tre conferme consecutive, compreso il primo riconoscimento, l’AOI diviene definitivo.

Ai sensi dell’art.9, co.1, L. n.222/84, l’Ente erogato­re dell’assegno, in questo caso l’Inps, può disporre però in ogni momento un nuovo accertamento, in­dipendentemente sia prima della scadenza naturale dell’assegno che successivamente all’avvenuta con­ferma definitiva. In ogni caso la revisione sanitaria è d’obbligo qualora il titolare dell’AOI abbia prodotto un reddito da lavoro dipendente, autonomo, pro­fessionale o d’impresa superiore a tre volte il tratta­mento minimo, poco più di € 1.500,00 per il corrente anno 2016, nell’anno precedente all’erogazione del­la prestazione.

L’AOI, come si è appena visto, è compatibile con l’attività lavorati­va, e ciò deriva anche dal fatto che la norma argina il requisito sanitario per la concessione a 2/3 della ca­pacità lavorativa, riconoscendo pertanto un possibi­le spazio residuo per svolgere altra attività retribuita.

Non è invece compatibile con il trattamento di disoccupazione la c.d. NASpI. È tuttavia possibile per il lavoratore esercitare la facoltà di opzione per il trattamento più conveniente.

Vale la pena segnalare, però, che se il lavoratore che ha optato per il trattamento di disoccupazio­ne rinuncia alla NASpI e ottiene il ripristino dell’A­OI, tale scelta ha carattere irreversibile e non è più possibile accedere alla trattamento di disoc­cupazione eventualmente residuo non goduto.

Spunti conclusivi

In riferimento a tali forme assistenziali assistiamo ad una trasformazione della concezione mutualistica dell’assistenza sociale. Infatti, tale forma di assistenza in passato era riservata solo ad una circoscritta  categoria di lavoratori o di soggetti assicurati.

Attualmente, invece, ci troviamo di fronte ad una concezione più inclusiva, basata piuttosto sul principio della solidarietà di tutti nei confronti di quegli individui più svantaggiati, con l’obiettivo di costruire uno stato sociale che tuteli la dignità umana e assicuri a tutti i suoi componenti, indipendentemente  dalla loro condizione contributiva e assicurativa, forme di assistenza tali da garantire un sostegno economico e una reale partecipazione alla vita sociale della comunità.

scritto il 17/06/2016 da Studio Cafasso

http://www.cafassoefigli.it/notizie/2456/assegno-ordinario-di-invalidit-e-assegno-di-invalidit-civile

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