Privacy: cosa deve contenere il certificato medico

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Quali informazioni deve contenere il certificato medico trasmesso al datore di lavoro affinché non si verifichi una violazione della privacy del lavoratore?

Il lavoratore che si assenta per malattia deve fornire al proprio datore di lavoro la certificazione medica riguardante la propria patologia. Quest’attività, tuttavia, come si concilia con il diritto alla privacy? Vediamolo di seguito.

Tutela della privacy nei certificati medici per malattia

In punto di conciliabilità tra obbligo di refertazione della malattia al datore di lavoro e diritto alla privacy del lavoratore è intervenuto il Garante della Privacy [1] che ha chiarito che nei certificati medici rilasciati da enti pubblici devono essere presenti solo informazioni generiche e non dati di carattere personale relativi allo stato di salute del paziente, la tipologia di diagnosi effettuata, la patologia riscontrata.

Il datore di lavoro, peraltro, non deve compiere indagini sulla malattia del lavoratore, quali ad esempio risalire alla struttura o al medico che ha emesso il certificato, ma deve fidarsi esclusivamente delle informazioni contenute dal certificato medico. Se poi il lavoratore produce documentazione in cui è presente anche la diagnosi, l’ufficio deve astenersi dall’utilizzare queste informazioni e deve invitare il personale a non produrre altri certificati con le stesse caratteristiche. Inoltre, particolari cautele devono essere adottate dall’ente pubblico quando tratta dati sulla salute dei dipendenti nei casi di visite medico legali, denunce di infortunio all’Inail (Istituto Nazionale Infortuni sul Lavoro), abilitazioni al porto d’armi e alla guida.

Riassumendo, il certificato medico deve essere generico e non deve fornire indicazionicirca:

  • lo stato di salute del paziente;
  • l’ospedale;
  • la generica struttura sanitaria;
  • la specializzazione del reparto;
  • la specializzazione del medico;
  • la tipologia di esame diagnostico effettuato;
  • la tipologia di visita effettuata.

La violazione di queste prescrizioni è causa di violazione della privacy e dunque fa sorgere il diritto al risarcimento del danno. Questo principio è stato recentemente confermato dalla Corte di Cassazione [2] che ha avuto modo di precisare alcuni punti fermi. Vediamo nel dettaglio la fattispecie all’esame della Suprema Corte.

Privacy e certificato medico: il caso

Un insegnante citava in giudizio il medico fiscale che aveva refertato la sua assenza per malattia inviando al preside del Liceo nel quale insegnava copia del referto medicodestinata al datore di lavoro in cui era stato riportato che il docente era “in attesa di consulenza psichiatrica“. Respinte le sue domande anche in appello, il docente è giunto fino in Cassazione dove, sebbene il giudizio si sia concluso per lui negativamente, la Corte ha ritenuto censurabile la condotta del medico fiscale e sussistente la violazione in materia di privacy ai danni del ricorrente.

Secondo la Cassazione è censurabile la condotta del medico fiscale che ha annotato sul referto medico la circostanza che il paziente era in attesa di una consulenza psichiatrica e pertanto è idonea a provocare una lesione all’immagine del docente nonché ad avere ripercussioni immediate sulla sua esistenza, consistenti nell’allontanamento e nella diffidenza maturata nei suoi confronti dagli amici, dai parenti e dai colleghi.

Difatti la riservatezza imposta nella refertazione del medico fiscale esige che non debba essere annotata sulla copia per il datore di lavoro la diagnosi del paziente ed è altresì vero che l’interpretazione delle norme preposte alla tutela della riservatezza, con particolare riferimento ai dati sensibili quali certamente sono quelli concernenti le condizioni di salute del dipendente malato, induce a ritenere che il datore di lavorodebba essere a conoscenza soltanto della conferma della prognosi da parte del medico fiscale.

Da quanto detto può affermarsi che tutte le volte in cui il certificato medico contiene le informazioni sullo stato di salute del lavoratore, si verifica una violazione del suo diritto alla riservatezza e, dunque, un contestuale diritto al risarcimento del danno.

note

[1] Deliberazione n. 23 del 14.06.2007.

[2]Cass. ord. n. 2367 del 31.01.2018;

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