INTRANSIGENTI O COGLIONI

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di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano, 4 febbraio 2020

Più avanza la Restaurazione col ritorno dei codini imparruccati e impomatati sui troni, in una tragicomica parodia dell’Europa dopo il Congresso di Vienna, più appare delittuoso il cupio dissolvi delle uniche due forze che potrebbero arginarla: i 5Stelle, che sembrano aver perso non solo la voce e l’identità, ma addirittura il vocabolario e l’alfabeto; e le Sardine, reduci dall’imbarazzante bacio della pantofola di Luciano Benetton, simbolo del capitalismo assistito, predatorio e senza regole che fa danni incalcolabili dall’Italia all’Argentina. I due movimenti, molto diversi ma nati entrambi dal basso, dovrebbero interrogarsi sul vero bivio che hanno di fronte. Che non è, per i 5Stelle, tra l’annessione alla sinistra e l’opposizione velleitaria e solitaria. E non è, per le Sardine, quello tra la piazza e il palazzo, il movimentismo e la forma-partito. Ma è, per entrambi, quello fra due diverse concezioni di un valore raro e prezioso: l’intransigenza.

C’è chi pensa che l’intransigenza significhi non parlare con nessuno per non sporcarsi le mani e non perdere la verginità. E chi pensa che si debba parlare con chiunque sia degno e utile a combattere l’avversario principale. Dunque bisogna anzitutto decidere chi è l’avversario principale e, per farlo, occorre un’identità forte. I 5Stelle l’identità ce l’hanno nel Dna, anche se sembrano essersela scordata, infatti pencolano tra chi vede l’avversario principale in tutti i partiti, chi lo vede nel centrodestra e chi lo vede nel centrosinistra. Le Sardine un avversario principale ce l’hanno: il salvinismo; ma non hanno un’identità netta, perché non se la sono voluta dare: finora hanno svolto un servizio prezioso – riempire le piazze disertate e desertificate al centrosinistra e occupate in esclusiva dal centrodestra – e si sono tenute a debita distanza dalle questioni più scottanti, per non scontentare nessuno e non dividere il fronte, limitandosi a vaghe deplorazioni del “populismo” e del “sovranismo” e a una generica predicazione del bon ton. La bussola per uscire dall’impasse che attanaglia entrambi i movimenti è la giusta risposta a una domanda cruciale: cos’è l’intransigenza? Per le Sardine, è mettersi d’accordo almeno sui fondamentali: su chi sia frequentabile e chi no per non finire in bocca gli squali, com’è purtroppo avvenuto con la gita e i selfie chez Benetton. Per i 5Stelle, è scegliere alcune battaglie identitarie, moralmente e civilmente sacrosante, e da quelle non muoversi di un millimetro. Due su tutte: la revoca o la revisione radicale delle concessioni pubbliche e la blocca-prescrizione.

Le concessioni non possono più restare a chi ha lasciato sbriciolare, per sete di profitto, il guardrail di Avellino e il Ponte di Genova, facendo decine di morti. E l’abolizione della prescrizione dopo il primo grado avvicina l’Italia non alla barbarie (come blatera il partito dell’impunità), ma alla civiltà (tutta l’Europa, tranne la Grecia). Su questi temi bisogna “resistere resistere resistere”, anche a costo di giocarsi la sopravvivenza stessa del governo. Chi difende vergognosamente la prescrizione e le concessioni regalate a privati senza scrupoli si assumerà dinanzi agli elettori la responsabilità di rovesciare il miglior governo oggi possibile e di regalare l’Italia a Salvini, che peraltro vuole le stesse identiche cose, proprio nel punto più basso della sua parabola politica. Alla fine si vedrà quanti italiani premieranno chi è stato intransigente.

Ma l’intransigenza c’entra poco con le alleanze. E i 5Stelle l’avevano capito due anni fa, quando annunciarono che, senza maggioranza assoluta in Parlamento, si sarebbero alleati con chiunque avesse accettato di firmare un contratto di governo che recepisse buona parte del loro programma. Lo fecero con la Lega e, tra mille resistenze, compromessi e sconfitte, portarono a casa leggi importanti. Poi, dopo il tradimento di Salvini, lo fecero col centrosinistra e in pochi mesi, tra mille ostacoli, hanno ottenuto il taglio dei parlamentari, quello del cuneo fiscale e le manette agli evasori. Lo stesso schema deve valere per le Regionali: provare a vincere per cambiare le cose. Non alleandosi dappertutto, a ogni costo, di qui all’eternità, ma oggi e dov’è possibile, tra le sei regioni che votano a maggio. Lo Statuto (che peraltro può cambiare: gli Stati generali servono anche a questo) consente di appoggiare candidati “civici” condivisi con gli alleati, come nella frettolosa e disperata esperienza umbra. E anche di far appoggiare candidati propri, come potrebbe avvenire in Campania se il centrosinistra confluisse sul ministro dell’Ambiente Sergio Costa, il generale delle battaglie nella Terra dei fuochi. Il che rende surreale, lunare, kafkiana l’assemblea di domenica fra gli attivisti campani alla presenza di Roberto Fico. Il 90% degli intervenuti ha respinto qualunque ipotesi di alleanza col Pd “a prescindere”: sia che si tratti di convergere su un’eventuale ricandidatura dell’impresentabile De Luca o su figure indigeribili come il renziano toscano Giani (mission impossible), sia di far convergere il centrosinistra su un nome “proprio” come Costa (eventualità auspicabile, anzi doverosa). Il risultato, se prevarrà questa follia, sarà il perpetuarsi dappertutto del pernicioso schema bipolare destra-sinistra che nell’ultimo biennio ha ridotto i 5Stelle a peli superflui in Emilia Romagna, Calabria, Sardegna, Piemonte, Val d’Aosta, Friuli, Abruzzo e Molise. Possibile che questi scriteriati non capiscano che liberare la Campania da De Luca e salvarla dalla calata di Salvini sarebbe un merito storico di cui vantarsi e non un peccato mortale di cui vergognarsi? C’è bisogno di un disegnino per spiegare la differenza fra un intransigente e un coglione?

 

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