I messaggi WhatsApp hanno valore legale di prova?

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Come fare entrare in un processo civile o penale una chat di WhatsApp o altra messaggistica registrata sullo smartphone. 

Hai intrattenuto una chiacchierata su WhatsApp con una persona che, al termine di una lunga serie di messaggi, ti ha minacciato e ha usato espressioni oltraggiose nei tuoi riguardi. Intendi agire per le vie legali: vuoi denunciarlo e, se possibile, ottenere anche un risarcimento. Ti chiedi tuttavia se i messaggi WhatsApp hanno valore legale di provaed, eventualmente, in che modo vanno portati al giudice per poter “testimoniare” a tuo favore: se cioè è sufficiente stamparli, se bisogna creare un file con tutte le conversazioni oppure bisogna consegnare materialmente lo smartphone al magistrato affinché possa leggere la conversazione. Su questo delicato tema e sulla validità delle chat come prova in un processo civile o penale si sta iniziando a pronunciare la giurisprudenza. Poiché non sempre le sentenze usano un linguaggio semplice e adatto all’uomo non esperto di legge, in questo articolo ti spiegheremo come stanno le cose e come difenderti nel caso in cui tu voglia utilizzare un messaggio WhatsApp come prova in una causa.

In teoria il messaggio di WhatsApp può essere considerato come una valida prova in processo, a condizione che sia stato effettivamente spedito e ricevuto. La vera difficoltà sta, quindi, nel verificare se il testo esibito al giudice è davvero quello presente sul cellulare.

Si potrebbe risolvere la questione in quattro modi diversi. Analizziamoli qui di seguito.

Io screenshot dei messaggi WhatsApp

Il primo, e sicuramente meno conveniente, modo per far entrare un messaggio WhatsApp come prova in un processo è di memorizzare la chat incriminata mediante uno o più screenshot del display del cellulare (si tratta cioè di fare delle fotografie della videata che compare sullo smartphone quando si apre la finestra di WhatsApp con la conversazione). Ogni cellulare ha un sistema diverso per eseguire lo screenshot. Di solito si tratta di premere una combinazione di tasti. Una volta realizzato lo screenshot, il relativo file può essere stampato su carta oppure allegato con una pennetta usb al fascicolo.

Senonché questo sistema presta il fianco a una facile critica. La legge infatti considera la copia cartacea o digitale di un documento informatico come una “riproduzione meccanica” al pari di una fotocopia. Come tale, essa può essere considerata prova solo a condizione che non venga contestata dalla controparte, cosa che, invece, molto probabilmente, farà se non vuole perdere la causa. Solo nel caso in cui l’avversario riconosca la genuinità dei testi dei messaggi per come allegati dalla controparte (cosa che può scaturire anche tacitamente, da una mancata contestazione), allora il giudice potrà tenerne conto come prova documentale. Ma se li contesta, quel materiale non potrà più essere utilizzato.

A mitigare il rigore di tale regola, la Cassazione ha precisato che non basta una semplice e generica contestazione, ma è necessario spiegarne le ragioni e insinuare il dubbio sull’autenticità della prova. Bisogna cioè motivare al giudice la ragione per cui la stampa o il file allegato dall’avversario potrebbe non corrispondere all’originale (ad esempio manca l’indicazione della data).

La testimonianza dei messaggi WhatsApp

Un metodo più sicuro del precedente (ma che ad esso si può aggiungere) per dimostrare il contenuto dei messaggi WhatsApp è quello di farli leggere a una persona che poi sia disposta a testimoniare davanti al giudice e a dichiarare ciò che ha letto. Si tratterà cioè di far entrare nel processo la chat tramite una testimonianza. Il teste sarà sentito dal giudice che lo interrogherà su ciò che ha visto con i propri occhi. A tal fine non basta che questi dichiari di aver saputo della chat in modo indiretto, ossia per confessione di una delle parti che gliene abbia parlato. Il testimone è tale solo se “oculare”.

Anche questo sistema però può avere dei punti deboli. Con un buon controinterrogatorio, l’avvocato di controparte potrebbe far cadere il testimone, facendogli delle domande a trabocchetto. Come ad esempio:

«Lei ha detto di aver letto, sull’intestazione della chat, il nome del mittente del messaggio. Ma è sicuro che a quel nome corrisponda davvero l’utenza telefonica del mio assistito? Lo ha controllato personalmente? Ha fatto una ricerca sulla rubrica del telefono per vedere se il nome non era stato creato ad arte?»;

«Lei ha detto che la chat riportava la data del 23 febbraio. Ma come può affermare con certezza questo dato? Cosa le fa pensare che il titolare dello smartphone non abbia cambiato la data sul proprio dispositivo, falsando così anche la chat?»;

«Lei ha detto di aver letto una chat di WhatsApp. Ma è sicuro che non si sia trattato magari di una immagine creata appositamente da un software e quindi di un fake? Quali elementi ha per poter dire il contrario?».

Insomma, i mezzi per far cadere in trappola l’avversario sono numerosi.

La trascrizione dei messaggi WhatsApp

Una sentenza del tribunale di Milano [1] ha ammesso la cosiddetta trascrizione dei messaggi. In buona sostanza, se vi è una contestazione sull’autenticità del messaggio, la parte può chiedere al giudice di disporre una consulenza tecnica d’ufficio (cosiddetta CTU). Il giudice nominerà un perito al quale andrà consegnato lo smartphone. Dopo un esame del supporto e della chat, questi provvederà a riportarne il testo su un “documento ufficiale” (cartaceo) che diventa una prova vera e propria nel processo.

L’acquisizione dello smartphone al processo

Di recente la Cassazione [2] ha fornito l’ultimo suggerimento per poter dimostrare, in un processo, il contenuto di una chat su WhatsApp e, quindi, darle il valore di prova. Secondo la Corte, a tal fine è necessaria l’acquisizione dello smartphone. La rappresentazione fotografica infatti non ha alcun valore senza il supporto materiale che contiene l’originale. È solo con quest’ultimo che si può avere la certezza della effettiva genuinità della stampa.

Nel caso di specie, il giudice del merito, in assenza del supporto, aveva deciso di non acquisire in giudizio la trascrizione della chat WhatsApp intercorsa tra l’imputato del reato di stalking e la parte offesa, che la difesa dell’imputato voleva versare agli atti del processo per provare l’inattendibilità della persona offesa.

Quando la chat su WhatsApp diventa prova

Sono ormai numerose le sentenze che riconoscono al messaggio di WhatsApp il valore di prova. In alcuni casi, peraltro, non è stato neanche necessario acquisire la riproduzione o lo smartphone non essendo contestato l’invio o il ricevimento del messaggio. Uno di questi casi è quello del licenziamento [3]. Se, ad esempio, un’azienda invia un licenziamento a un proprio dipendente tramite sms o WhatsApp e quest’ultimo, nei 60 giorni successivi, invia la lettera di contestazione non fa altro che ammettere il ricevimento del messaggio che, in definitiva, non potrà più essere contestato. Insomma il comportamento tenuto dalle parti dopo la conversazione può servire a confermare il testo della chat.

FONTE

[1] Trib. Milano, sent. del 24.10.2017.

[2] Cass. sent. n. 49016/2017.

[3] Trib. Catania, ord. del 27.06.2017.

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