Cartelle di pagamento: l’errore più frequente che le rende nulle

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L’escamotage per ottenere l’annullamento completo della cartella o quantomeno l’eliminazione degli interessi da corrispondere.

Pagare o fare ricorso? Questo è il dilemma. Quando arriva una cartella di pagamento e si sa di essere nel torto per aver effettivamente omesso un pagamento dovuto, non resta che aggrapparsi a qualche vizio formale: il classico escamotage che ogni contribuente spera di trovare, panacea di un problema che sembra non avere altre soluzioni. E se c’è l’escamotage, le strade da intraprendere sono due: o impugnare la cartella davanti al giudice o chiederne lo sgravio in autotutela. La seconda delle opzioni offre minori garanzie, a meno che si tratti di un vizio palese (nel qual caso è consentito ottenere la sospensione automatica); la prima invece presenta il vantaggio di avere davanti un organo imparziale e terzo, quale il magistrato, ma è sicuramente una strada tortuosa, lunga e costosa. C’è poi il fatto che, anche quando una sentenza afferma un principio, gli altri giudici potrebbero avere un’interpretazione diversa. Esiste però un motivo di nullità delle cartelle di pagamento assai frequente per il quale ormai si è formata una giurisprudenza consolidata. Ed è di questo che parleremo in questo articolo dedicato appunto all’errore più frequente che rende nulle le cartelle di pagamento.

Quella che stiamo per spiegare non è la tesi di qualche isolato tribunale; è la stessa Cassazione a confermarla le cartelle sono quasi tutte incomplete perché non indicano i criteri di calcolo degli interessi. Che significa? Che non basta che, nel calcolo delle somme richieste al contribuente sia riportato l’importo dovuto a titolo di interessi, ma deve essere esplicitato anche il criterio di calcolo applicato dall’Esattore, in base cioè a quali aliquote si è arrivati, anno dopo anno, a tale somma. Cerchiamo di spiegarci meglio, anche con qualche documento che abbiamo estratto da alcune cartelle che, per ovvie ragioni di privacy, abbiamo oscurato.

Come noto, quando non si paga una tassa, oltre alle sanzioni, vengono calcolati anche gli interessi dal giorno in cui sarebbe dovuto intervenire il versamento a quando questo viene intimato. Se il contribuente non adempie, tali importi vengono «iscritti a ruolo»: in altre parole, con un documento formale, l’ente titolare del credito delega l’Agente della riscossione (Agenzia delle Entrate Riscossione) a riscuotere le somme in via forzata. Come? Inizialmente con la notifica della cartella esattoriale e dopo, con il pignoramento. Ebbene, la cartella esattoriale deve indicare:

  • il tributo, con il relativo codice;
  • l’importo del tributo;
  • l’anno di riferimento del tributo;
  • gli oneri di riscossione (quello che un tempo si definiva «aggio»);
  • le spese di notifica;
  • gli interessi distinti dal capitale: non basta la somma complessiva degli interessi dovuti, ma è necessario una chiara indicazione delle modalità di calcolo degli interessi addebitati, specificando quanto meno il tasso applicato e la decorrenza.

Per darti la prova di ciò riportiamo qui di seguito un esempio di prima pagina di una cartella di pagamento.

In questa cartella viene prima indicato:

  • l’importo dovuto a titolo di imposta,
  • l’ammontare complessivo degli interessi (maturati dall’anno di maturazione del debito sino all’iscrizione a ruolo della somma);
  • le spese di notifica.

Come evidente, da nessuna parte della cartella viene indicato il tasso di interessiapplicato anno dopo anno, a partire dal 2010, anno in cui – nell’esempio in questione – l’importo era dovuto.

La lacuna non viene sanata neanche nella successiva pagina della cartella dove vi è un ulteriore dettaglio.

La cartella che qui abbiamo voluto riportare è solo una delle tante che presentano questo difetto. Anzi, ad oggi quelle emesse dalla ex Equitalia presentano quasi tutte questa tipologia di vizio. Bisognerà verificare poi se in quelle che emetterà in futuro il nuovo esattore, Agenzia delle Entrate Riscossione, si provvederà a sanare tale anomalia.

Perché riportare il calcolo degli interessi è così importante e determina la nullità della cartella? La spiegazione è in una recente sentenza della Commissione Tributaria di Isernia [2]. La cartella di pagamento, in quanto manifestazione di una pretesa impositiva da parte della pubblica amministrazione, deve essere improntata al principio della «trasparenza» imposto dalle norme sul procedimento amministrativo e dallo Statuto del contribuente [3]. Quindi, anche la cartella, al pari di qualsiasi atto della pubblica amministrazione, deve riportare una congrua motivazione e non deve mancare degli elementi essenziali, che consentano al contribuente di verificare se le somme che gli vengono richieste siano corrette o meno. Tale requisito riguarda anche gli interessi riportati nella cartella medesima.

In gran parte delle cartelle manca la specificazione delle informazioni relative al calcolo degli interessi. Al contrario, tali importi vengono semplicemente riportati in misura complessiva e riferiti all’annualità relativa all’omesso versamento di imposte. Difficilmente vengono inseriti dei prospetti specifici per il calcolo degli interessi. L’orientamento di tutta la giurisprudenza tributaria conviene sul fatto che la mancata indicazione delle modalità di calcolo degli interessi, quantomeno con riferimento al tasso applicato e alla decorrenza, rappresenta un motivo di illegittimità della cartella. Attenzione però: se per alcuni giudici la lacunosa indicazione degli interessi rende nulla l’intera cartella, per altri essa investe solo la parte relativa agli interessi stessi, mentre resta fermo l’obbligo di pagare le imposte e le sanzioni. Anche in questo secondo caso, però, almeno per le cartelle esattoriali particolarmente vecchie – dove l’importo a titolo di interessi è elevato – il contribuente potrebbe ricevere un sostanzioso sconto. In quest’ultimo caso, però, bisognerà valutare attentamente la convenienza dell’operazione, atteso che il contribuente deve sempre anticipare le spese di giudizio e l’onorario del professionista.

note

[1] Cass. sent. n. 249433/16

[2] Ctp Isernia, sent. n. 133/01/17

[3] Art. 7 Statuto del contribuente.

Autore immagine: 123rf com

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