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Il suo partito di estrema destra AfD è secondo nei sondaggi, ma nessuno degli altri è disposto ad allearcisi dopo il voto del 23 febbraio
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Tarapia tapioco, la supercazzoola brematurata con scappellamento a destra, come fusse antani.
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Da diverse settimane si discute della decisione presa dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump di cambiare il nome del Golfo del Messico in Golfo d’America. Se ne è parlato soprattutto su un piano politico e tecnico, riflettendo sulla legittimità e sull’applicabilità della decisione a livello nazionale e internazionale. Ma nel dibattito che si è sviluppato è emersa anche una questione territoriale specifica, più sostanziale: quale tra le nazioni che si affacciano sul golfo – Messico, Stati Uniti e Cuba – abbia in effetti maggiore sovranità su quel tratto di mare.
È piuttosto frequente che tra stati costieri ci siano controversie riguardo ai rispettivi diritti sulla fascia di mare su cui ciascuno stato si affaccia. Le convenzioni del diritto internazionale stabiliscono, in linea generale, che quei diritti sono esercitati con attenuazioni sempre maggiori man mano che ci si allontana dalla terraferma. Tenendo in considerazione i confini stabiliti da quelle convenzioni, la maggior parte delle acque del golfo si trova al di fuori delle zone marittime controllate dagli Stati Uniti.
Secondo dati riportati dal New York Times e calcolati da Sovereign Limits, un database di confini internazionali territoriali e marittimi, il Messico ha diritti sul 49 per cento del golfo, gli Stati Uniti sul 46 per cento e Cuba sul 5 per cento.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare suddivide gli spazi marini in «zone marittime». Il mare adiacente alla costa di uno stato costituisce le cosiddette «acque territoriali», su cui lo stato esercita una sovranità pari a quella esercitata sul proprio territorio: si estendono per un massimo di dodici miglia marine, cioè circa 22 chilometri.
Dalla costa fino a un massimo di duecento miglia marine, cioè 370 chilometri, si estende poi la «zona economica esclusiva» (Zee). Su questa zona la sovranità dello stato costiero è limitata allo sfruttamento economico delle risorse biologiche, come i pesci, e di quelle minerarie, come i giacimenti di petrolio e gas naturale nel fondale marino. Oltre questo limite si trovano le «acque internazionali», su cui nessuno stato può esercitare sovranità, ma a seconda dei casi può esercitare diritti soltanto sulle risorse del fondale marino.
L’area del Golfo del Messico è composta approssimativamente per il 44 per cento di zona economica esclusiva del Messico, per il 39 per cento di zona economica esclusiva degli Stati Uniti e per il 5 per cento di zona economica esclusiva di Cuba. Il golfo è il nono bacino al mondo per estensione (compresi oceani e mari), e viene spesso definito negli Stati Uniti come la sua “terza costa” (oltre a quella orientale e quella occidentale). È un importante centro di attività economiche: nel golfo gli Stati Uniti hanno circa metà dei propri impianti di lavorazione e raffinazione del petrolio, e pescano circa il 40 per cento del pesce che la popolazione mangia.
Il Golfo del Messico si chiama così da oltre 400 anni, da molto prima della nascita dell’omonimo stato moderno del Messico, che ereditò il nome da una parola usata dagli Aztechi per indicare la capitale del loro impero. La denominazione “Golfo del Messico” era riportata già in mappe del 1586 e del 1591. In precedenza quel tratto di mare era chiamato “Golfo del Nord” (il centro delle operazioni dei conquistatori europei era in America centrale e in Sudamerica) o “Mare della Nuova Spagna”. Il nome Golfo del Messico si è poi consolidato nel Seicento.
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17 febbraio 2025
La riduzione è in corso da tempo e coinvolge vari Paesi europei, il nostro più che altrove.
Nel 2024 la produzione industriale italiana è calata del 3,5 per cento rispetto al 2023, secondo i dati più aggiornati pubblicati da ISTAT. Da ottobre 2022, ossia da quando si è insediato il governo Meloni, l’ultimo mese in cui la produzione industriale è cresciuta rispetto allo stesso mese dell’anno precedente è stato gennaio 2023: in tutti e 23 i mesi successivi c’è stato un calo, con la riduzione peggiore registrata proprio a dicembre 2024 (-7,1 per cento rispetto dicembre 2023).
Numeri alla mano, la produzione industriale italiana – che ha iniziato a calare durante il precedente governo di Mario Draghi – sta diminuendo più della media europea. E tra i grandi Stati membri dell’Unione europea, peggio dell’Italia sta facendo solo la Germania.
La produzione industriale è calcolata attraverso un indice, che misura come cambia nel tempo il volume fisico della produzione delle industrie di un Paese, escludendo quelle del settore delle costruzioni. Per capire come è cambiata la produzione industriale italiana durante il governo Meloni rispetto a quella negli altri Paesi europei, abbiamo analizzato gli indici della produzione industriale forniti da Eurostat, l’istituto di statistica dell’Ue, relativi al periodo tra novembre 2022 e dicembre 2024.
Eurostat pone a 100 il valore che l’indice della produzione industriale dei Paesi Ue aveva nel 2021. Da quando è in carica il governo Meloni, l’indice italiano è passato da 98,3 a 91,3 punti, registrando un calo del 7,3 per cento. Nello stesso periodo, l’indice della produzione industriale nei 27 Paesi Ue è calato invece del 5,2 per cento.
L’Italia ha registrato diminuzioni maggiori soprattutto nella produzione di automobili e mezzi di trasporto, di pelle, di legno e metallo. In generale, i settori in cui è in calo la produzione industriale italiana sono gli stessi in cui è in calo quella dell’Ue, fatta eccezione per il settore farmaceutico dove a livello europeo c’è stata una crescita, mentre in Italia un calo.
Guardando ai grandi Paesi europei, tra novembre 2022 e dicembre 2024 solo la produzione industriale della Germania è calata di più di quella italiana, con un -10,5 per cento. La produzione industriale della Spagna è aumentata dell’1,1 per cento, mentre quella della Francia è rimasta sostanzialmente stabile.
Il Paese europeo con il calo peggiore della produzione industriale è il Belgio (-13 per cento), seguito dall’Austria (-11,6 per cento) e dalla Bulgaria (-10,5 per cento), mentre la Germania è al quarto posto. Da quando è in carica il governo Meloni, l’Italia è il nono Paese europeo con il peggiore andamento della produzione industriale.
Nel periodo di tempo analizzato, il Paese Ue dove la produzione industriale è aumentata di più è Malta (+24 per cento), seguita dalla Danimarca (+18,3 per cento). A seguire, ci sono Grecia (+9,7 per cento), Svezia (+8,6 per cento) e Slovacchia (+7 per cento). Oltre alla Francia, l’altro Paese che non ha registrato variazioni della produzione industriale è la Finlandia.
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17 febbraio 2025
di Carlo Canepa
Nel 2024 le esportazioni italiane sono calate leggermente sia in valore sia in volumi rispetto al 2023, a differenza di quanto scritto dalla presidente del Consiglio.
Lunedì 17 febbraio ISTAT ha pubblicato i dati aggiornati sull’export dell’Italia nel 2024, che smentiscono quanto scritto alcuni giorni prima dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Il 29 gennaio Meloni ha scritto sui social network: «Il 2024 segna un altro importante traguardo per l’Italia: con oltre 305 miliardi di export, raggiungiamo il valore più alto degli ultimi dieci anni. Un segno positivo della forza del nostro sistema produttivo e della competitività globale. Un’Italia sempre più forte e protagonista nel mondo».
Ma secondo i dati più aggiornati pubblicati da ISTAT, nel 2024 le esportazioni di beni italiani sono calate rispetto al 2023 sia in valore (seppure di poco) sia in volumi. Lo scorso anno, infatti, il valore dell’export del nostro Paese è sceso dello 0,4 per cento, mentre il suo volume è calato del 2,4 per cento. In altre parole, nel 2024 l’Italia ha venduto all’estero meno merci rispetto all’anno precedente, e con un valore complessivo leggermente inferiore.
Più nel dettaglio, nel 2024 le esportazioni italiane hanno raggiunto un valore pari a 623,5 miliardi di euro, una cifra più bassa dei quasi 626 miliardi di euro registrati nel 2023 [1]. Quindi non è vero, come ha scritto Meloni, che lo scorso anno le esportazioni italiane hanno raggiunto «il valore più alto degli ultimi dieci anni». La presidente del Consiglio ha parlato però di un valore delle esportazioni di «oltre 305 miliardi» di euro, una cifra più bassa di quella appena vista. Qual è il motivo di questa discrepanza?
Nel suo post, Meloni ha parlato di export in generale, ma i dati a cui fa riferimento sono relativi solo all’export con i Paesi che non fanno parte dell’Unione europea. Nel 2024, infatti, le esportazioni italiane verso i Paesi non europei hanno raggiunto un valore pari a 305,3 miliardi di euro, in crescita dell’1,2 per cento rispetto al 2023 [2]. Questo dato era già stato comunicato da ISTAT il 29 gennaio (giorno del post di Meloni), ed è stato integrato il 17 febbraio con i dati relativi ai Paesi Ue. Nel 2024 l’export verso questi Paesi è sceso dell’1,9 per cento rispetto all’anno prima, compensando così l’aumento registrato verso il resto del mondo.
L’errore di Meloni è stato quindi far passare un aumento dell’export italiano verso i Paesi non europei come un aumento complessivo di tutto l’export. Quando la presidente del Consiglio ha scritto il suo post sui social network, i dati ISTAT complessivi sull’export italiano arrivavano fino a novembre 2024, e già indicavano che negli 11 mesi del 2024 c’era stato un calo sia in valore sia in volumi.
Presentando i dati più aggiornati, ISTAT ha spiegato che l’export italiano nel 2024 sarebbe cresciuto di poco se non si considerassero i beni energetici. «La modesta flessione delle esportazioni italiane nel 2024 sottende dinamiche contrapposte per i diversi settori. La riduzione delle esportazioni riguarda molti settori della manifattura, per quanto con diversa intensità», ha sottolineato l’istituto di statistica nazionale. «I contributi negativi più ampi derivano dalla contrazione delle vendite di autoveicoli (-16,7 per cento), mezzi di trasporto, esclusi autoveicoli (-8,9 per cento), coke e prodotti petroliferi raffinati (-15,4 per cento), metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti (-3,3 per cento) e articoli in pelle, escluso abbigliamento, e simili (-8 per cento)».
Nonostante il leggero calo dell’export, nel 2024 l’Italia ha registrato un surplus commerciale più alto rispetto all’anno precedente. Lo scorso anno la differenza tra esportazioni e importazioni è stata positiva e pari a quasi 55 miliardi di euro; nel 2023 era stata pari a 34 miliardi di euro. Il calo del valore delle importazioni «è quasi totalmente spiegato dalla contrazione degli acquisti di petrolio greggio (-25,4 per cento) e gas naturale (-24,4 per cento)», ha sottolineato ISTAT.
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Pubblicato da Ansa il 17 feb 2025
La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato che le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’università di Marsiglia non saranno lasciate “senza conseguenze”. Lo riporta l’agenzia ufficiale russa Ria Novosti citando un intervento di Zakharova sulla tv di Stato russa. “Durante una conferenza in una delle istituzioni educative, ha affermato di credere che la Russia possa essere equiparata al Terzo Reich. Ciò non può e non sarà mai lasciato senza conseguenze”, ha detto la portavoce della diplomazia russa secondo Ria Novosti.
Flash news offerta da NOTIZIÆ
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Mentre il governo Meloni studia il modo per salvare i centri albanesi di Shengjin e Gjader (l’idea sarebbe quella di trasformarli in Cpr, Centri di permanenza per i rimpatri), i lavoratori delle strutture sono in fase di licenziamento.
La cooperativa Medihosper, che negli scorsi mesi si è aggiudicata la gara da 133 milioni di euro per la gestione dei centri, avrebbe infatti interrotto il rapporto con buona parte dei dipendenti.
Nella lettera ricevuta dai lavoratori, diffusa dal quotidiano Il Domani, Medihospes cita come causa del licenziamento:
La comunicazione sarebbe stata inviata da una succursale della Medihospes aperta a Tirana dopo l’aggiudicazione dell’appalto.
Interrogato sul punto, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi si è limitato ad assicurare che i centri non verranno svuotati.
Nessun altro commento sulla messa alla porta del personale.
E invece a pagare, profumatamente, sono sempre e solo gli italiani.
Anche e soprattutto chi non li ha mai votati.
Fonte: © Today
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Lo storico Franco Cardini, ex militante del Movimento Sociale Italiano (MSI), ha lanciato una dura critica alla premier Giorgia Meloni e al suo governo, concentrandosi in particolare sul caso della ministra Daniela Santanchè e sulla deriva politica di Fratelli d’Italia (FdI). In un’intervista accesa e senza peli sulla lingua, Cardini ha accusato Meloni di aver dimenticato le radici della “destra sociale” e di aver trasformato FdI in un partito che rappresenta “piccoli e medi evasori”, perdendo di vista i valori di coscienza civica nazionale che un tempo caratterizzavano l’elettorato di destra.
“Meloni dice di non essere ricattabile, ma sa benissimo che di gente ricattabile ne ha molta intorno”, ha dichiarato Cardini, riferendosi implicitamente alle polemiche che hanno coinvolto la ministra Santanchè, accusata di irregolarità finanziarie e al centro di un acceso dibattito politico. “Sono convinto che una parte ‘sana’ dell’elettorato di Fratelli d’Italia pensa che Meloni dovrebbe prendere a pedate la ministra”, ha aggiunto lo storico, sottolineando il malcontento di una fazione dell’elettorato di destra verso le scelte del governo.
Le parole di Cardini arrivano in un momento di forte tensione per il governo Meloni, già alle prese con critiche sia dall’opposizione che da frange del proprio elettorato. La figura di Daniela Santanchè, ministra del Turismo, è diventata un simbolo di queste divisioni. Le accuse di evasione fiscale e le indagini giudiziarie che la riguardano hanno messo a dura prova la credibilità del governo, costringendo Meloni a difendere pubblicamente la sua ministra.
“Meloni si trova in una posizione difficile”, ha osservato Cardini. “Da un lato, deve mantenere l’unità del governo e del partito; dall’altro, rischia di perdere il sostegno di quell’elettorato che si aspetta rigore e coerenza”. Secondo lo storico, la premier dovrebbe prendere una posizione più netta, anche a costo di allontanare figure compromesse.
Cardini non si è limitato a criticare la gestione del caso Santanchè, ma ha anche attaccato la trasformazione ideologica di Fratelli d’Italia, accusando il partito di aver abbandonato i principi della “destra sociale” per abbracciare interessi più pragmatici e meno ideali.
“Un tempo gli elettori dell’estrema destra si identificavano per una coscienza civica nazionale, per un senso di appartenenza e di responsabilità verso il Paese”, ha ricordato Cardini. “Oggi, invece, Fratelli d’Italia è diventato il partito di riferimento di piccoli e medi evasori. È una deriva che tradisce le radici storiche della destra”.
Secondo lo storico, questa trasformazione rischia di alienare una parte significativa dell’elettorato tradizionale, che si aspetta dal governo non solo politiche economiche rigorose, ma anche un impegno concreto per la giustizia sociale e la lotta alla corruzione.
Le critiche di Cardini rappresentano una sfida per Giorgia Meloni, che si trova a dover bilanciare le esigenze di un governo di coalizione con le aspettative del suo elettorato più fedele. La premier ha sempre cercato di presentarsi come una leader forte e determinata, capace di difendere gli interessi nazionali e di mantenere fede ai propri principi. Tuttavia, il caso Santanchè e le accuse di deriva ideologica rischiano di minare questa immagine.
“Meloni deve decidere se vuole essere la leader di un partito che guarda al futuro, mantenendo un legame con le sue radici, o se vuole continuare su una strada che rischia di allontanarla dal suo elettorato storico”, ha concluso Cardini.
La sfida per la premier è chiara: riconquistare la fiducia di chi crede in una destra sociale e responsabile, o rischiare di perdere il sostegno di chi si aspetta coerenza e rigore. In un momento di grande incertezza politica ed economica, le scelte di Meloni potrebbero determinare non solo il futuro del suo governo, ma anche quello dell’intero Paese.
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Ho chiesto a un’intelligenza artificiale di ipotizzare quale professione avrebbero scelto alcuni famosi politici italiani se non avessero seguito la carriera politica. Ecco cosa è emerso.
Matteo Salvini: Cassiere in un supermercato
Giorgia Meloni: Barista
Vittorio Sgarbi: Pastore
Giuseppe Conte: Viticoltore
Renato Brunetta: Nano da giardino
Mario Draghi: Installatore impianti di condizionamento
Matteo Renzi: Macellaio
Sergio Mattarella: Fruttivendolo
Elly Schlein: Muratore
Antonio Tajani: Cameriere
Enrico Letta: Prete
Beppe Grillo: Benzinaio
Silvio Berlusconi: Parrucchiere
Ignazio La Russa: Pizzaiolo
Luigi Di Maio: Bibitaro (allo stadio)
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