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September 13, 2015
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Irene Piccolo
C’era una volta… tanta confusione.
Leggendo i giornali e, soprattutto, ascoltando i telegiornali e i programmi c.d. di approfondimento, mi sono domandata quanti conoscono effettivamente quello di cui parlano e quanti invece – magari anche animati da buone intenzioni, eh! – fanno citazioni di cose e concetti leggiucchiati qua e là senza però averli assimilati e fatti propri. In questi giorni l’Italia è divisa tra lo sconvolgimento creato dalle foto del piccolo Aylan riverso sulla spiaggia di Bodrum, la paura del migrante che scappa dai CARA, la preoccupazione per l’esplosione di quell’arteria – da sempre dolorante e sempre sottovalutata! – che è la rotta balcanica e in più l’irritazione/sberleffo nel vedere Angela Merkel darci lezioni di accoglienza. In questo vortice d’emozioni contrastanti, la disinformazione può galoppare liberamente; distese e praterie le si aprono davanti.
Esattamente come per la vicenda dei marò, gli aspetti da toccare sono molti e variegati. Oggi però mi occuperò solo del c.d. “sistema di Dublino”, ponendo l’attenzione su alcuni aspetti a mio modo di vedere piuttosto rilevanti:
L’erosione della competenza degli Stati in materia di immigrazione;
L’allargamento dell’Unione europea (veri motivi e rischi).
PRIMO ERRORE in circolazione: “Dublino l’avete voluta voi, quando l’avete votata nel 2013”.
No. Nel 2013 è stato approvato il Regolamento Dublino III, che modifica – rendendolo più umano (e leggermente migliore per i Paesi d’ingresso) – il sistema creato dalla Convenzione di Dublino del 1990 (recepita sostanzialmente in toto nel Regolamento Dublino II).
Il 15 giugno 1990, infatti, Antonio Gava, Ministro dell’Interno del governo Andreotti, firmava per conto dell’Italia la Convenzione di Dublino, la cui dicitura completa è “Convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle comunità europee”. Due precisazioni, prima di andare oltre:
Si parlava ancora di comunità europee, perché l’Unione europea come la conosciamo oggi nascerà solo con il Trattato di Maastricht il 7 febbraio 1992. Nel 1990 avevamo ancora tre comunità: la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), la Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom) e la Comunità economica europea (CEE). La prima morta di morte naturale nel 2002, allo spirare del Trattato di Parigi che l’aveva istituita nel 1951; la seconda nata nel parto gemellare che nel 1957, con i Trattati di Roma, aveva dato alla luce anche la CEE e che tuttora sopravvive come ente esterno all’Unione europea, pur servendosi delle istituzioni di quest’ultima.
Si fa riferimento all’esame delle domande d’asilo presentate in base alla Convenzione ONU di Ginevra del 1951. Rinvio a un altro post la trattazione sulla definizione di rifugiato e tutto ciò che ne consegue; tuttavia, mi preme sfatare il SECONDO ERRORE che circola in questi giorni: la definizione di rifugiato NON richiede affatto che la persona provenga da un Paese dove c’è la guerra o un conflitto armato di qualunque tipo. La Convenzione fra un po’ neanche la cita la guerra… Riflettiamo solo su una cosa: la Convenzione del 1951 nasce per dare asilo ai dissidenti che scappavano dall’Unione Sovietica. Vi risulta che ci fossero guerre in corso in quegli anni all’interno dell’Unione Sovietica? Le condizioni di criticità ora come allora sono altre; il contesto di guerra può essere un’aggiunta a tali condizioni, ma non è LA condizione.
Torniamo a Dublino. La normativa attualmente in vigore prevede che “gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III”.
Orbene, questo Capo è interessante e, si fa per dire, divertente! Va dal “particulare” (e qui Guicciardini ci starebbe “a fagiuolo”!) all’universale, analizzando prima situazioni specifiche e poi quelle residuali/generali. Adesso mi spiego meglio.
Il primo dei criteri fissati dal Capo III (art. 8) riguarda i minori non accompagnati: in questo caso, competente a esaminare la domanda è lo Stato in cui si trova legalmente un familiare del minore (per familiare s’intende il coniuge o partner stabile, se il minore è sposato; se non lo è, allora valgono anche i genitori o altro adulto legalmente responsabile secondo la legge del Paese in cui si trova quest’ultimo) o un fratello. Ma tutto ciò avviene “purché sia nell’interesse del minore”, quindi non è automatico!
Questa è una modifica rispetto al testo originario, dove il minore (accompagnato o meno che fosse) non era considerato oggetto di particolare attenzione. In più, nel testo precedente, perché uno Stato fosse competente in situazioni che potremmo definire di “ricongiungimento familiare” non era sufficiente che il familiare (tra i quali fratelli e sorelle non erano ricompresi) risiedesse legalmente in un altro Stato membro, ma tale familiare doveva aver ottenuto lo status di rifugiato.
I criteri successivi (artt. 9 e 10) sono rivolti ai casi in cui il migrante ha un familiare che ha già ottenuto la protezione internazionale o l’ha già richiesta a uno Stato membro. In questo caso, la competenza a decidere anche sulla richiesta del neo-arrivato spetterà allo Stato cui il familiare si era già rivolto (purché il migrante lo richieda espressamente, non è automatico neanche qui quindi).
Il terzo criterio (art. 12) è basato su titoli di soggiorno e visti: vale a dire che se il migrante che vuole fare domanda di asilo ha già avuto da un Paese membro un visto o un permesso di soggiorno, sarà competente a esaminare la domanda proprio lo Stato che gli ha già rilasciato tali titoli.
Infine, ecco che arriva il gentile cadeaux che l’Europa centrale ci ha riservato e che noi, illuminati e lungimiranti, abbiamo accolto non rendendoci conto (davvero?!) a quale cavallo stessimo facendo varcare le mura di Troia: l’articolo 13 dell’attuale regolamento (che riprende l’articolo 6 della Convenzione del 1990)!
Questo magnifico articolo infatti ci dice che “quando è accertato che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione [ndr. quello di frontiera] è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”. E questa responsabilità cessa solo dopo 12 mesi dall’ingresso illegale nel territorio. Decorsi questi 12 mesi, come si fa a capire chi è poi lo Stato competente?
Ebbene, è competente lo Stato – recita sempre l’articolo 13 – in cui il migrante “ha soggiornato per un periodo continuato di almeno cinque mesi prima di presentare domanda”. Vi renderete conto che se lo Stato d’ingresso è “costretto”, in quanto competente a esaminare la domanda, a tenere sul proprio territorio nei CARA i richiedenti asilo che sono arrivati, e deve farlo per almeno 12 mesi, a meno che il migrante non fugga senza aver presentato domanda e non riesca a permanere sul territorio di un altro Stato (es. la Francia) per almeno 5 mesi prima di presentare la domanda, sarà sempre lo Stato d’ingresso a rimanere competente. Torniamo punto e a capo!
In pratica, abbiamo un sistema in cui a tutti gli Stati che non sono Stati d’ingresso/di frontiera arrivano “migranti di buona qualità” socialmente parlando, quelli più innocui: minori non accompagnati; persone che in quegli Stati hanno già ottenuto il visto o il permesso di soggiorno e quindi in un qualche modo si sono già inseriti nel loro substrato sociale; persone che hanno lì parenti che hanno già ottenuto o hanno buone possibilità di ottenere l’asilo.
Quelli che invece arrivano illegalmente, quindi probabilmente i meno ricchi, forse i meno acculturati, di sicuro i meno controllati, oltre che i più sfruttati e schiavizzati (quindi nelle condizioni umanitarie più precarie e che probabilmente avrebbero bisogno di aiuto più di altri!), sono di sola ed esclusiva competenza del Paese d’ingresso. E in questo caso, ovviamente, tutto è automatico: il migrante non può decidere alcunché! Bell’affare abbiamo fatto!
Sull’onda del filoeuropeismo a tutti i costi degli anni ’90, lo stesso che ci fece fare un bel maquillage dei conti per entrare nell’Euro (non lo dico io, eh! Il bluff italiano è ormai un caso di scuola in praticamente tutti i libri di economia..), non abbiamo saputo – quando potevamo ancora farlo – tutelarci. Perché dico che prima potevamo farlo e ora no?
Introduciamo una nuova pillola di diritto internazionale: in genere, quando una Convenzione viene modificata o integrata, lo strumento giuridico che si utilizza è il Protocollo. Ma io, citandovi Dublino II e Dublino III, vi ho sempre parlato di Regolamento. Questo perché, nel corso del tempo, le competenze sono cambiate.
Infatti, nei primi anni ’90, asilo e immigrazione erano competenza esclusiva degli Stati (come la sovranità monetaria, ricordate?). Ma, con il Trattato di Amsterdam del 1997, entrato in vigore nel 1999, gli Stati hanno delegato parte di questa competenza all’Unione europea, perciò da quel momento in poi la disciplina in materia sarebbe stata adottata con atti comunitari, quali sono appunto i Regolamenti. E, tra gli atti dell’Unione, i regolamenti sono i più “penetranti” nella nostra realtà, perché sono immediatamente vincolanti e direttamente efficaci. Tradotto: uno Stato non deve recepirli. Nel momento stesso in cui l’Europa li emette, i regolamenti entrano nell’ordinamento italiano e hanno per noi cittadini valore di legge. Nessuna intermediazione statale, tramite parlamento o governo che sia.
Quindi quando potevamo, nel ‘90, perché avevamo competenza esclusiva, ci siamo imbavagliati; ora – che abbiamo competenza c.d. complementare – come Stato possiamo fare poco e nulla, giuridicamente parlando. L’unica via per noi è la negoziazione politica con gli altri Paesi; tuttavia, non mi sembra che stiamo brillando ultimamente.. Se nel 2013 è stato adottato il nuovo regolamento non è certo per merito degli Stati d’ingresso che si sono battuti a favore dei propri interessi; per quello dobbiamo ringraziare solo la Corte di Giustizia dell’UE che con alcune sentenze ha dato delle belle scudisciate al “sistema di Dublino”.
E’ importante che in Europa si faccia fronte compatto, e non che una volta lì ci si senta di destra, di sinistra o di centro piuttosto che italiani. Se non siamo uniti là, le migrazioni ci sopraffarranno tutti quanti.
E una volta compattato il fronte italiano, provare a fare un'”alleanza” fra i Paesi d’ingresso. Possibile che siamo gli unici a non saper fare i nostri interessi? L’unione fa la forza non è solo un detto.. E in Europa ogni Stato vale uno, uno Stato è un voto: il voto della Germania non vale più degli altri, a meno che non siamo noi ad attribuirgli maggior valore.
Non dovremmo mai dimenticare che l’Unione Europea, per quanto sui generis, rimane comunque un’organizzazione intergovernativa, quindi un fascio di relazioni tra governi e non una mega-nazione dove ci possiamo permettere di parlamentare in eterno sul dibattito destra – sinistra o palla al centro. Lì non va portato l’interesse “particulare” di una corrente politica, ma l’interesse “particulare” e generale del cittadino.
Andiamo avanti.
Quali Stati firmarono a Dublino? Oltre all’Italia, avevamo Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito. 12 Stati. Infatti, allora la Comunità economica europea era composta solo da 12 Stati. Oggi siamo ben 28!
Ci pensate? Siamo partiti nel 1957 che eravamo solo in cinque. Dal 1957 fino al 31 dicembre 1994, trentasette anni, sono entrati solo altri sette Paesi. Dal 1995 al 2013 (data dell’ultimo allargamento), 18 anni, si sono aggiunti invece alla combriccola ben sedici Paesi!
È vero che, una volta che un processo si innesca, tutto diventa più veloce e spedito. Tuttavia, facciamo un bell’esame. Per entrare nella CEE i parametri erano molto rigorosi; essendo un’unione economica si voleva che tutti gli Stati fossero al passo e nessuno costituisse una palla al piede per gli altri. Poi, con l’Unione europea, chissà com’è, tanto rigore a parole, ma poi nei fatti “flessibilità”. Ai nuovi entrati, soprattutto quelli del 2004 (Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Ungheria) è stato semplicemente chiesto che garantissero che in un tot di anni sarebbero rientrati nei parametri richiesti. Quindi non sono entrati essendo già in regola con i requisiti di ammissione, ma con una promessa, un bel “pagherò”!
Allora, forse ci domanderemo, come mai l’Europa, e la Germania in particolare, che tanto ci bacchettano a suon di minaccia di procedure di infrazione, che tanto sono inflessibili con la Grecia, sono stati “tolleranti” in questo caso? Le risposte sono davvero tante, ma per il momento ne suggerirei tre:
Di tipo economico. Il mercato della Germania è l’Europa dell’est, è il suo spazio vitale e naturale. Quale cosa migliore che tirar dentro i suoi partner commerciali privilegiati, godendo poi dei vantaggi che l’Euro – se usato bene – può dare?
Di tipo geopolitico, dal momento che tutto ciò che va all’Europa viene tolto alla Russia.
Non solo l’Europa dell’est in senso classico, ma vediamo, ad esempio, anche il riconoscimento a dir poco prematuro che l’Europa fece di Croazia e Bosnia – Erzegovina, nel 1992, quando la guerra in ex Jugoslavia era praticamente agli inizi e tali Stati non avevano il controllo di nemmeno metà del proprio territorio. Già da allora l’UE iniziò a parlare di processo di stabilizzazione e integrazione dei Balcani. [In proposito, la Commissione Badinter (creata per di più dall’UE stessa) dirà che tale riconoscimento fu prematuro e acuì l’inasprirsi del conflitto..] Cioè, i Balcani non erano fra un po’ neanche saltati in aria e già pensavamo a come tirarli dentro?
Parimenti col Kossovo: pur di sottrarlo all’influenza dei russi, arrivati per primi a Pristina, l’Europa sta allevando nel suo seno uno dei principali hub criminali e fuori controllo del globo. E a me può anche star bene: sulle ragioni geopolitiche nulla quaestio! Ma prendi le tue contromisure, cerca di smantellare quell’hub, fai qualcosa!
Se in questi giorni tutti noi stiamo nel timore è anche perché i migranti, per arrivare in Germania, sono quasi costretti a percorrere le rotte balcaniche.. cosa può arrivare da quel vaso di Pandora, una volta dischiuso?
Di tipo opportunistico. Per tornare là donde ci siamo mossi, guardate queste due cartine (cliccando sulla data): per i migranti quali erano i Paesi d’ingresso nel 1990? Chi dopo l’allargamento fiume del 2004? Con gli allargamenti successivi al 2004, la cerniera di sicurezza intorno all’Europa centrale (alias Germania) si è solo rafforzata.
TERZO ERRORE in circolazione è quello secondo cui, per accogliere i siriani, la Germania avrebbe sospeso Dublino. La mia prima affermazione sarebbe “’cca nisciuno è fesso, la Germania men che meno!”. Ma secondo voi davvero, con un sistema che la tutela così tanto, alla Germania può venire in mente di sospenderlo?
Certo che no! La Merkel ha semplicemente applicato l’articolo 17 di Dublino III, le c.d. Clausole discrezionali o volontarie. La Germania ha applicato la prima di queste, e cioè: “ciascuno Stato membro può decidere di esaminare una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel presente regolamento”. Sottolineo il “può (non deve!) decidere”, e la Germania lo ha fatto, scegliendo quali domande esaminare. Il resto dei migranti agli Stati d’ingresso e tanti cari saluti!
La seconda clausola discrezionale invece prevede che uno Stato competente a esaminare le domande (ad es. Italia) possa chiedere a un altro Stato (ad es. la Germania) di farsene carico. A questo punto l’altro Stato può (non deve!) decidere di accettare e quindi prendersi quei migranti e relative procedure. E se decide di non farlo, non deve neppure spiegare il perché.
Questo è il bel sistema in cui ci siamo cacciati, mordendo la mela che sembrava così succulenta del filoeuropeismo incondizionato. In questo post posso esser sembrata antitedesca, in realtà ho solo voluto mettere in risalto due diversi atteggiamenti. Da un lato, quello di uno Stato che in nome di un ideale europeista, che tra l’altro credo non fosse più tanto chiaro, si è dato la zappa sui piedi da solo, anziché pensare al bene comune dei suoi cittadini (l’Italia); dall’altro, l’atteggiamento di chi ha sempre fatto solo i propri interessi, lo ha fatto egregiamente e con buoni risultati (al punto che ora la Germania passa per il paradiso dell’accoglienza..!) in barba però al principio di solidarietà che sta alla base del costrutto europeo.
Nessuno di questi due atteggiamenti, temo, starà facendo riposare in pace i Padri Fondatori.